I temi caldi della politica italiana hanno aperto la nuova stagione dei Giovedì Culturali. Ospite il professor Gianfranco Pasquino, noto politologo e docente di Scienza della Politica presso l’Università di Bologna, che nell’occasione ha presentato il volume Politica è. Si tratta di una raccolta di recensioni scritte e pubblicate dal professore a partire dal 1991 su La rivista dei libri e su 451, che offrono una panoramica sugli ultimi vent’anni di storia politica in Italia.
Da qui Pasquino è partito per dedicarsi nel corso della serata ai temi più strettamente legati all’attualità. Primo fra tutti la questione della percezione nell’opinione pubblica del ruolo del governo tecnico. È infatti particolarmente diffusa l’idea che esso non sia del tutto legittimo e che rappresenti una sorta di sospensione della democrazia. Ovviamente, spiega il politologo, queste ansie sono del tutto ingiustificate. Il governo tecnico ha avuto ragione di esistere, anche se non potrà permanere a lungo. Il prossimo 2013 infatti vedrà due grandi appuntamenti sul piano politico: l’incarico al nuovo governo e l’elezione del Presidente della Repubblica. L’ordine in cui queste elezioni avverranno sarà significativo. La nostra Costituzione infatti recita che il Presidente della Repubblica nomina il Primo ministro e su proposta di quest’ultimo nomina e revoca i ministri. Ciò significa che se il governo si scioglierà prima della fine del mandato di Napolitano, il nostro Presidente potrà utilizzare questo potere e decidere chi guiderà il prossimo governo. Napolitano infatti ha un grande potere politico, che gli deriva dalla sua biografia e dalla sua forte personalità.
Altrettanto si può dire dell’attuale premier Monti, continua Pasquino. Additato come rappresentante della categoria dei banchieri, in realtà il capo del governo tecnico ha svolto nella sua vita tutt’altro percorso: è economista e professore, presidente dal 1994 dell’Università Bocconi e commissario europeo per il mercato interno (fra 1995 e 1999) e per la concorrenza (fino al 2004). Per questo motivo è molto conosciuto all’estero, è stimato e gode di prestigio e credibilità presso gli altri capi di stato e di governo. Questa caratteristica lo rende al momento difficilmente sostituibile con qualche altra personalità, tanto che Pasquino ironizza dicendo che Monti dovrebbe essere eletto Presidente della Repubblica e a sua volta nominare Napolitano capo del governo. L’unica altra persona credibile in Europa, per l’impegno dimostrato in questo ambito, è infatti Napolitano.
In ogni caso, questo periodo di governo tecnico non rappresenta una parentesi di democrazia. Senza entrare nel merito della qualità dei provvedimenti, questo è un governo che, seppur tecnico, sta compiendo scelte politiche. Resta piuttosto in sospeso la politica dei partiti, che negli ultimi decenni hanno perduto l’affidabilità e la credibilità del proprio elettorato. Che il potere politico dei partiti si sia sfaldato è dimostrato dal fatto che mai come negli ultimi dieci anni si è fatto ricorso così spesso alla richiesta di fiducia, segno di una intrinseca debolezza del sistema, dal momento che dovrebbe trattarsi di condizione presente a prescindere in Parlamento.
Pasquino si ricollega quindi al dibattito sulla legge elettorale, che proprio in questo clima di instabilità dei partiti diventa importantissima perché la sua natura potrà assecondare o meno tale processo. La legge elettorale infatti non ha il compito di tutelare i seggi, ma dovrebbe conferire ai cittadini il massimo possibile di potere politico. L’attuale porcellum di Calderoli evidentemente non agisce in questa direzione. L’assenza di un voto di preferenza ha permesso che venissero applicate dai partiti modalità inique di selezione dei candidati, dando la possibilità di ricoprire posti di potere a personaggi tutt’altro che affidabili o competenti. Tuttavia c’è da chiedersi se dall’altro lato l’introduzione del voto di preferenza rappresenti davvero una soluzione o piuttosto non sia motivo di rischio, potendo condurre a lotte interne ai partiti (indebolendo ulteriormente la loro coesione) e a compravendite di voti in cambio di benefici di vario tipo. La nuova legge elettorale dovrà dunque dare maggior potere politico agli elettori, cercando di aggirare tutti questi i rischi.
Il professore ha poi dedicato una parte della sua relazione ai protagonisti della politica di oggi. Innanzitutto i candidati in lizza per la carica di segretario del Partito Democratico. Fra breve infatti si terranno le primarie del PD, uno strumento utilissimo e di grande partecipazione. E’ curioso tuttavia che siano già stati nominati gli aspiranti a questo ruolo e che il dibattito mediatico intorno a loro sia già ampiamente cominciato ancor prima di conoscere le regole del gioco, da stabilire durante il congresso di inizio ottobre. In ogni caso, se il PD vorrà agire in modo corretto, dovrà consentire il massimo della partecipazione all’elettorato, stabilendo poche regole molto chiare, che permetteranno forse di ampliare il bacino di voto sfruttando l’attuale momento di declino dei partiti della destra (Popolo della Libertà e Lega).
L’insoddisfazione e la rabbia fra la cittadinanza dilagano ed è su questi sentimenti che, secondo il professore, si sta costruendo il successo di esperienze come quella del Movimento 5 Stelle. Una deriva demagogica e qualunquista che Pasquino vede come distruttiva più che costruttiva. L’idea dello “sbaraccare tutto e poi si vedrà” è molto pericolosa e rappresenta una forte tentazione per gli italiani di oggi, stanchi di una politica che purtroppo anche recentemente ha mostrato i suoi risvolti peggiori.
Per tutti questi motivi i prossimi mesi saranno fondamentali per decidere il futuro dell’Italia anche sul piano internazionale, dove finora abbiamo retto grazie ad una forte personalità come quella di Mario Monti. L’adesione all’Europa, pur rappresentando per gli stati membri il rischio di una perdita di parte della propria sovranità, è ciò che al momento ci tiene a galla. Se l’Italia uscisse dall’Europa, l’Italia si troverebbe più sola, ma anche l’Unione Europea vacillerebbe se perdesse uno degli stati fondatori. Il rischio sarebbe di ritrovarsi tutti più poveri ed egoisticamente chiusi in se stessi.