Si è parlato degli sviluppi di questo movimento, in particolare in Egitto e Libia, con due
ospiti che hanno vissuto in prima persona quelle vicende, i giornalisti Elisa Ferrero e Gabriele Del Grande. L’incontro è stato introdotto e moderato da Rosmina Raiteri dell’Associazione ICS Onlus, nata lo scorso luglio per promuovere la multiculturalità, l’integrazione e la cooperazione
internazionale.

L’Egitto, ha spiegato la Ferrero, è un Paese chiave per il mondo arabo, innanzitutto perché il più popoloso ed inoltre per la sua posizione altamente strategica ed il ruolo leader che ha sempre storicamente avuto dal punto di vista culturale e politico. Per questi motivi le proteste dello scorso anno hanno assunto un’importanza particolare, senza contare che vi sono stati degli
elementi di novità assoluta, come la scelta della piazza (nello specifico piazza Tahrir, la principale del Cairo) come luogo di aggregazione e
discussione, nonché come scenario della rivolta.

La situazione attuale sembra aver preso però una direzione lontana dagli
ideali di quella piazza. In Egitto è oggi in corso un conflitto politico e
sociale che si sviluppa su tre nodi principali: la costituzione, la
distribuzione del potere, la società. È stata poco fa eletta l’assemblea
costituente che dovrà scrivere la nuova legge fondamentale entro sei mesi. La
maggioranza di tale assemblea è stata tuttavia conquistata dai Fratelli
Musulmani (i salafiti, gli islamisti), con l’esclusione invece delle categorie
che costituivano il cuore del movimento: le donne, i copti, i giovani, le
minoranze, oltre che i grandi intellettuali costituzionalisti del Paese. È
dunque in corso da parte delle forze laiche escluse un tentativo di sabotaggio
del laboratorio costituzionale. Dal punto di vista della distribuzione del
potere i poteri del presidente della repubblica sono passati ad una giunta
militare. Il parlamento appena eletto ha ovviamente il potere legislativo, ma
il compito di approvare le leggi rimane comunque ai militari. La componente
islamista insiste per allontanare l’attuale governo militare, ma la vera resa dei
conti arriverà con le elezioni presidenziali del prossimo maggio. I candidati a
questa carica sono o personalità già vicine all’ex presidente Mubarak o
esponenti dei partiti conservatori, ancora una volta con l’estromissione dei
veri e propri protagonisti di piazza Tahrir. Tale situazione non può che
condurre ad un conflitto interno anche alla società, fra i fautori del
cambiamento e i difensori del vecchio status quo, che si sviluppa in maniera
trasversale, coinvolgendo attori anche molto diversi (magistratura, sindacati,
polizia, ?).

Sembra dunque che gli ideali della piazza non abbiano avuto il giusto
riconoscimento a livello istituzionale e politico: il rispetto per la dignità
dell’uomo, la libertà, la democrazia e la rappresentanza di tutte le componenti
del Paese, l’idea di una cittadinanza riconosciuta al di là delle identità
religiose ed etniche, la giustizia sociale. Tuttavia, conclude la giornalista,
è il cambiamento nelle persone che accende la speranza nei confronti di un
nuovo futuro.

Il caso della Libia è invece molto diverso, spiega Gabriele Del Grande:
la protesta si è trasformata in un conflitto armato e sanguinoso, che come è
risaputo ha visto anche l’entrata in scena della Nato. La scintilla della
rivolta è stato l’arresto di un avvocato ed attivista dei diritti umani,
rappresentante legale delle famiglie delle vittime del massacro operato nel
1996 dal regime di Gheddafi nel carcere di Ab? S?lim,
nei dintorni di Tripoli, in occasione del quale sarebbero periti 1.200
detenuti. Il giornalista racconta di uno degli episodi più cruenti, a cui lui
stesso ha assistito: l’assedio di Misrata. La città, circondata da tre lati
dalle milizie governative, è stata devastata dai bombardamenti e la popolazione
ho dovuto affrontare violenze inaudite. È stato possibile documentare questo
avvenimento grazie alla creazione da parte dei combattenti civili di un media
center, che si occupava anche di ospitare ed accompagnare i giornalisti
stranieri.

La Nato ha avuto inoltre un ruolo fondamentale nel conflitto a livello
militare, pur senza cancellare i meriti della piazza. L’intervento è stato
sicuramente spinto dai forti interessi di tipo economico e commerciale che
l’occidente nutre verso la Libia, uno dei Paesi più ricchi di petrolio.
Tuttavia si è anche capito che probabilmente la nuova chiave politica per
garantire l’equilibrio internazionale è sostenere questi nuovi movimenti,
piuttosto che i vecchi e monolitici regimi, che seppur duraturi hanno ora
dimostrato tutta la loro fragilità.

Oggi la Libia è un Paese pieno di ferite e di forti contraddizioni. La
prospettiva di un inviato di guerra, riconosce Del Grande, è spesso in un certo
senso schiacciata ed incapace di fornire un quadro veramente intero della
complessità di un Paese. Ogni conflitto porta con sé una violenza trasversale,
che mostra sempre il suo volto più oscuro, al di là delle motivazioni anche
condivisibili che talora la muovono. Le atrocità del conflitto hanno generato
in alcuni casi delle spirali di vendette e ritorsioni: il pericolo della giustizia
fai da te è sempre dietro l’angolo.

Nonostante tutto questo, la Libia è anche un Paese che sta rinascendo e
lentamente scopre la sua identità. La partecipazione e l’interessamento agli
sviluppi sociali e politici del nuovo corso è straordinaria: giovani,
associazioni di vario tipo, mezzi di comunicazione, tutti concorrono alla
costruzione di una nuova opinione pubblica. L’atmosfera che si respira fra la
gente è positiva.

In chiusura il giornalista parla della nascita di un mito, quello dei
ragazzi della riva sud del Mediterraneo. Un mito coltivato con fierezza in
questi Paesi di recenti rivolte, testimoniando, al di là degli sviluppi
politici particolari, che per una volta qualcosa è davvero cambiato.

 

                        A cura di G. Guglielmi

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