Il capitalismo non ha eliminato il sacro nel mondo secolarizzato ed è esso stesso diventato una religione, alla forma neo-liberista viene reso un culto indiscusso nella prassi quotidiana di miliardi di persone, i suoi dogmi (consumo, crescita illimitata, incentivi, meritocrazia, profitto) vengono pacificamente condivisi, i suoi sacerdoti (i manager) ossequiati, le sue pratiche sacrificali accettate come ineluttabili.
Luigino Bruni, professore ordinario di Economia politica presso l’Università Lumsa di Roma, coordinatore del progetto Economia di Comunione del Movimento dei Focolari, ha discusso con Francesco Guala e Giorgio Barberis, rispettivamente presidente e vicedirettore dell’Associazione Cultura e Sviluppo, del suo ultimo libro Il capitalismo e il sacro (Vita e pensiero, Milano 2019).
Bruni ha esplora i profondi intrecci tra economia e religione, mercato e spirito, mostrandone le radici arcaiche, le contaminazioni storico-teologiche fino agli esiti della società postmoderna.
Nella Bibbia si trovano numerose idee economiche e principi fondamentali. La logica dello scambio, offrendo sacrifici agli dei, è uno dei modi in cui si manifesta la presenza dell’economia, già dieci-dodici mila anni fa, quando iniziano le civiltà. In un mondo incerto, in balia degli eventi naturali, l’uomo nasceva debitore e il sacrificio deve essere letto con registro commerciale.
Nella Bibbia il ricco è due volte benedetto, dalla vita e da Dio mentre il povero è due volte maledetto. Una religione che dice “beati i poveri” ci fa capire quanto bisogno c’è di liberarci dal capitalismo.
I relatori hanno discusso anche del concetto del dono che, secondo quanto studiato dagli antropologi, nelle società primitive è diverso dalla civiltà cristiana.
Bruni ha spiegato che il dono è una pratica politica per il controllo delle relazioni sociali nelle civiltà tradizionali relazioni. Nella civiltà cristiana il dono diventa omeopatico, ovvero si prende qualcosa che assomiglia al dono e lo si mette in una comunità per immunizzarsi.
Se si prendi un dono si crea un vincolo. Nelle imprese si manifesta l’ambivalenza: esse infatti non possono accogliere il dono perché ne sarebbero distrutte ma praticano alcune attività (ad esempio una cena di raccolta fondi a favore del volontariato). C’è comunque un’area della vita dove il dono è importante.
Altro tema affrontato nel libro è la critica alla meritocrazia: per il professor Bruni si tratta di legittimazione etica della diseguaglianza. I sostenitori, infatti, la usano per aumentare la disuguaglianza perché considerano il talento come merito e non come dono. I Vangeli invece sono antimeritocratici.
La meritocrazia nell’impresa ha senso, ma a livello sociale come si può a combinare il mercato con una redistribuzione del reddito? Oggi la meritocrazia è usata come condanna della povertà. Nel mondo contemporaneo il povero è colpevole mentre per i cattolici è uno sventurato.
Non tutti hanno gli stessi talenti e se il mercato è ciò che gestisce la vita comune è un problema.
Bruni esprime una critica non tanto al capitalismo quanto alle grandi imprese che vogliono creare un mondo fasullo, che comprende convention e ritiri sprtuali per i dipendenti.
Oggi non domina l’economia ma il management, che sta insegnando come si gestisce tutto.
In conclusione i relatori hanno discusso della dottrina economica della Chiesa. Per Bruni la visione cattolica dell’economia non si deve cercare tra gli economista cattolici perché l’ideologia è troppo forte e prevale sulla scienza. Il Papa ha un idea negativa dell’economia ed è molto critico nelle sue encicliche ma dovrebbe trovare una parte costruttiva da proporre.