È stato un incontro trasversale a varie iniziative quello che si è tenuto a Cultura e Sviluppo con Antonello Pasini, ricercatore all’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche e referente scientifico dell’area tematica di ricerca “Modellistica atmosferica a scala regionale e globale”, autore di molti articoli scientifici e di tre libri sul clima e la modellistica climatica, coordinatore di molte attività scientifiche ed editoriali, autore del blog Il Kyoto fisso sulle pagine web dell’edizione italiana di Scientific American (Le Scienze).
L’appuntamento era inserito nel ciclo dei Caffè Scienza ed era uno degli incontri per gli studenti del Progetto Giovani ma era anche parte di Speed up, un progetto finanziato dalla Regione Piemonte con fondi europei nel bando Mindchangers. Tutto questo porterà alla realizzazione di eventi di sensibilizzazione sugli effetti del cambiamento climatico e a un festival il 10 giugno, con percorsi di formazione e accompagnamento con il Comune di Alessandria.
La Terra ha la febbre, ma come misurarla? Il professor Pasini ha illustrato come in Antartide si usi sonda per estrarre dei cilindri di ghiaccio per analizzarlo. La temperatura della Terra è sempre cambiata ma nel ghiaccio sono rimaste anche delle bolle che ci consentono di analizzare l’aria del passato. La composizione dell’aria sta cambiando nell’ultimo secolo. La temperatura aumenta in particolare dagli anni 60, in Italia l’incremento è stato di 2 gradi in un secolo. Inoltre stanno fondendo i ghiacci del Polo Nord: ne sono andati persi 3 milioni di km quadrati in 40 anni, un’area pari a 10 volte quella dell’Italia. Succede anche nei ghiacciai delle Alpi.
Qualcosa sta dunque cambiando ma perché? Il Sole manda energia sulla Terra, che risponde emettendo a sua volta energia verso lo spazio esterno. La temperatura sul pianeta dipende da questo bilancio di energia. Ci sono tanti elementi che influiscono sulla temperatura. La Terra emette energia nell’infrarosso dovuta alla propria temperatura. L’anidride carbonica e il metano stanno crescendo a dismisura e intrappolano il calore che dovrebbe uscire per raffreddare la Terra, Da quando è aumenta la temperatura della Terrà, l’energia arrivata dal sole è diminuita e questo porta gli scienziati a pensare alla cause antropiche.
“Il clima è un sistema complesso. Non c’è causalità lineare ma le singole parti si possono studiare in laboratorio – ha spiegato il climatologo – I sistemi si possono semplificare per fare domande più precise. Fino agli anni 70 la climatologia era solo osservazione da filosofi della natura. Nei supercomputer possiamo sapere se il modello numerico riesce a ricostruire il clima in base agli input naturali e antropogenici e come cambia il comportamento. Se non fossero cambiati gli influssi umani risulta che non ci sarebbe stato il riscaldamento degli ultimi 50-60 anni”.
L’1 per cento della popolazione più ricca ha emesso il 15 per cento dei gas serra tra il 1990 e 2015, la metà più povera ne ha emesso meno della metà.
“Si tratta solo di sudare di più? No! Ci saranno impatti sul territorio come desertificazione, eventi estremi, livello del mare, sugli ecosistemi, sulla salute dell’uomo, sulle attività produttive come l’ agricoltura, sui flussi migratori – ha detto ancora Pasini – Per quanto ci riguarda, il Mediterraneo è diventato un hotspot: siamo in preda agli anticicloni africani. L’anticiclone delle Azzorre segnavano l’inizio dell’estate ma ormai non arriva più. Quando gli anticicloni africani tornano indietro, lasciano la porta aperta alla correnti da nord sul mare caldo che causano eventi estremi con le alluvioni flash. Il Mediterraneo è ormai un punching ball climatico”.
La risposta della natura è lenta ma rischia di essere inesorabile: i ghiacciai ad esempio stanno rispondendo lentamente al riscaldamento degli ultimi 20-30 anni. Se non si fermasse l’aumento di temperatura, perderemmo il 90 per cento dei ghiacci alpini.
Nei Paesi poveri le temperature rischiano di superare la soglia di tolleranza fisiologica. Un problema che si sente ancora prima è la combinazione negativa tra aumento di temperatura e diminuzione di pioggia. “Si arriverà a chiedere asilo non politico ma climatico”. La Siberia potrebbe diventare un granaio enorme se si deghiacciasse ma nei Paesi in via di sviluppo ci sarebbe una perdita di produzione per la siccità. Nel Sahel, la zona tra il Sahara e la foresta pluviale con agricoltura di pura sussistenza, il clima è una concausa che aggrava crisi già esistenti. Il deserto sta divorando i terreni fertili e il lago Ciad ha ridotto la sua superficie di 17 volte anche a causa dell’eccessivo sfruttamento.
Quale sarà il destino per la regione subsahariana? Il clima futuro dipende da fattori termodinamici e di circolazione. Il primo è piuttosto sicuro: maggiore calore ed energia in atmosfera creano temperature più elevate ed eventi più violenti. Allora sono possibili distruzioni di raccolti non solo per maggiore temperatura (magari con ondate di calore, che già ora sembra stiano diventando più frequenti ed intense), ma anche per eventi di precipitazioni estreme. Inoltre, può essere superata la soglia di tolleranza termica.
Il secondo fattore è meno certo: soprattutto l’ubicazione delle piogge dipende dagli spostamenti delle masse d’aria nel clima futuro. I modelli, tuttavia, spesso mostrano rischi di siccità aumentati nella fascia del Sahel. Così, le risorse idriche potrebbero diventare più scarse e anche i raccolti sarebbero a rischio, con perdite graduali o, più probabilmente, vere e proprie perdite totali e carestie.
In futuro questa situazione potrebbe aggravarsi, con uno sconvolgimento dei cicli naturali (stagione delle piogge, siccità, ecc.), mancanza di risorse idriche e perdita di servizi ecosistemici. In questa situazione anche la coesistenza pacifica verrà ulteriormente minacciata, come pure il comunitarismo africano. Il cambiamento climatico rischia di essere un acceleratore/amplificatore di problemi ancor più in futuro.
Ma, in questo complesso quadro climatico e non solo, ci sono strategie win-win che possono contribuire a risolvere più problemi insieme. “No a soluzioni tecnocratiche, direbbe Papa Francesco. Il sistema è complesso e bisogna evitare soluzioni che cerchino di risolvere un problema a scapito di altri. Si devono innescare circuiti virtuosi nella dinamica umana che tendano ad armonizzarla con la dinamica naturale. Il tutto richiama un concetto di ecologia integrale” ha spiegato il professore.
Non bastano le riduzioni nel settore delle combustioni (energetico, industriale, traffico, ecc.). Bisogna ridurre il cattivo uso del suolo e le emissioni dai terreni coltivati o degradati. Ciò apre a sinergie con la soluzione di altri problemi della sfera umana (ad esempio conflitti e migrazioni).
“Dobbiamo adattarci e quando i danni sono grossi serve mitigare. Il clima ha un inerzia e ormai bisogna fare in fretta. Occorre gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile” ha concluso Pasini.
Per saperne di più sul cambiamento climatico visita la pagina Facebook di Antonello Pasini: ➡https://www.facebook.com/antonellopasinipagina
Visita il suo blog “IL KYOTO FISSO” su la Repubblica: ➡ http://pasini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/?fbclid=IwAR2BbLLDK0P-naKypeZgjgquG8XSIgU3cko5Tn6pVl_nj68rXGaEHZtotC8