“Ho accettato questo titolo perché io sono nato ebreo, erano ebrei i miei genitori e i miei nonni. L’ebraismo è un insieme di regole di comportamento, di spiritualità e di pensiero. Gli ebrei si considerano un popolo, non una religione”: Moni Ovadia ha iniziato così l’incontro in cui ha presentato il libro Un ebreo contro (Edizioni Gruppo Abele) in dialogo con Livio Pepino, già magistrato, esponente di spicco della magistratura progressista e attuale direttore della casa editrice. Ovadia è teatrante e musicista, cittadino partecipe, attento conoscitore di popoli, culture e confini ed è considerato uno dei più autorevoli esponenti della cultura yiddish nel nostro Paese.

“La filosofia parla greco, l’etica parla ebraico” ha detto Pepino. “L’identità ebraica prescinde dalla religione. Gli ebrei non sono legati a un’identità territoriale, sono eletti perché intuiscono la via della redenzione e incontrano Dio. Per un ebreo, nella sua tradizione, gli uomini sono tutti uguali, dal re allo ‘scemo del villaggio’. La vocazione universalista è inequivocabile. Il grande nemico dell’ebraismo è l’idolatria. Chi è nazionalista ha costruito l’idolo della terra. E il nazionalismo porta solo guerre e sangue” ha spiegato Ovadia.

Un ebreo ha una condizione identitaria che lo obbliga a riconoscere l’identità di tutti gli essere umani, rifiutare l’idolatria, ha l’obbligo alla pace e deve attenersi all’etica dello straniero. Non esiste ebraismo se non è declinato permanentemente con la condizione dell’esilio.

Per Ovadia “la memoria degli orrori deve diventare coscienza comune e la memoria ebraica deve diventare la sorella maggiore delle altre memorie. Essere ebreo significa essere caricato di identità instabile, meticcia che porta a costruire l’eguaglianza. Il messianesimo ebraico è la giustizia sociale su questa terra. Il mio ebraismo mi ha insegnato che la schiavitù e l’ingiustizia sono abominio”.

Con Maria Grazia Caldirola, Moni Ovadia ha parlato anche del teatro come “luogo della democrazia e della fragilità: l’attore mette la sua fragilità al servizio dell’umanità” e ha ricordato la ricchezza del teatro italiano “La commedia dell’arte ci ha fatto diventare universali e ci ha permesso di trionfare nel mondo. Ricordiamo ad esempio il gramelot di Dario Fo o il napoletano di Eduardo De Filippo”.

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