Gianfranco Pasquino e Mario Deaglio sono stati tra gli ospiti più presenti all’Associazione Cultura e Sviluppo e, in occasione del trentennale dell’attività, sono tornati per una riflessione sulla storia globale degli ultimi decenni, con un’attenzione specifica alla politica, all’economia e alle loro vorticose trasformazioni.
Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, ha presentato le conclusioni del suo ultimo rapporto, Un futuro da riprogettare, che riflette la necessità di guardare avanti. Ha ripercorso il cambiamento di scenario degli ultimi decenni: dalla domanda posta nel 2000, “Quanto è bella la globalizzazione?”, alla constatazione del 2022, “Il mondo post-globale”. “Oggi – ha osservato – l’economia globale intesa in senso tradizionale non esiste più, lasciando spazio a quello che si definisce il disordine post-globale”.
Secondo Deaglio, il mondo si trova sotto l’effetto congiunto di quattro crisi convergenti — pandemica, climatico-ambientale, economico-sociale e geopolitica — che si intersecano negli anni Venti del XXI secolo. Questa situazione si manifesta in assenza di punti fermi, “con la bussola persa”.
Sul fronte economico-sociale, il professore ha sottolineato il “tramonto della carriera”, dovuto a cicli produttivi sempre più brevi (massimo 5-6 anni per un progetto industriale), che richiedono una istruzione permanente. L’ascensore sociale si sta esaurendo e la quota dei salari sul prodotto tende a ridursi, portando la società a spaccarsi. L’Italia, definita da Deaglio come un “calabrone” che riesce comunque a rimanere in volo nonostante la denatalità, sconta profonde fratture socio-economiche. In particolare, si rileva un preoccupante 20 per cento di giovani non impegnati né nello studio, né nel lavoro, né nella formazione, un record mondiale. Le soluzioni, ha concluso, non sono scritte nel passato: vanno trovate.
Il professor Pasquino, emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, presentando il suo nuovo libro In nome del popolo sovrano, ha ripreso il concetto di disordine mondiale, definendolo un peggioramento rispetto a 25 anni fa. Ha criticato l’idea che “la storia fosse finita” dopo il 1991, evidenziando l’emergere di fondamentalismi capaci di controllare la politica e impedire il cambiamento. Il disordine attuale, secondo Pasquino, ha avuto origine con l’11 settembre 2001 e la successiva guerra in Iraq, che ha diviso l’Europa.
Riguardo alla politica italiana, Pasquino ha osservato la forte stabilità dell’attuale governo, guidato da una presidente del Consiglio ambiziosa che si muove con abilità tra Europa e figure come Trump, mantenendo un’ideologia sovranista. Una stabilità che, sebbene rappresenti un valore dopo anni di governi instabili (quello di Meloni è il quarto più longevo), è stata cercata attraverso il disegno di legge sul premierato, mentre – sostiene il professore – la stabilità dovrebbe derivare dalla politica, non dalle norme.
Sul piano internazionale, Pasquino ha posto l’attenzione sull’Europa, una costruzione complessa che procede in modo “lento ma inesorabile”. Ha difeso l’allargamento del 2004 (da 14 a 24 Stati sotto la presidenza Prodi) come un atto fondamentale per sostenere le nuove democrazie dell’Est, contribuire alla prosperità dei Paesi membri e ridurre il disordine globale. Per costruire un nuovo ordine, secondo Pasquino l’Europa deve dotarsi di una difesa comune. Inoltre, ha evidenziato l’iniziativa del Parlamento europeo di chiedere più poteri e l’eliminazione del voto all’unanimità, considerato una procedura non democratica che permette il ricatto dei singoli Stati.
Infine, il politologo ha respinto la narrazione sulla “crisi” delle democrazie: il loro numero è aumentato (oggi circa 90, quindici in più rispetto al 1999) e, pur presentando problemi di funzionamento, esse mantengono capacità di apprendimento. Tuttavia, la creazione di un nuovo ordine internazionale non è imminente e richiederà, oltre al contributo europeo, anche un cambiamento negli Stati Uniti e una maggiore disponibilità della Cina a rispettare le regole.
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