Un incontro con riflessioni sulla scuola di oggi a partire dall’esempio della Scuola di Barbiana: In occasione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani, nell’ambito del Progetto Genitori e organizzato in collaborazione con la Diocesi di Alessandria e l’Istituto Isral, il professor Domenico Simeone, preside della Facoltà di Scienze della Formazione, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore dell’Osservatorio per l’educazione e la cooperazione internazionale, ha parlato del ruolo sociale della scuola e degli insegnanti nella società dialogando con le dirigenti scolastiche Renata Nosengo e Raffaella Norese.

Don Milani nasce in una famiglia ricca, colta, agnostica, si iscrive all’Accademia di Brera, torna a Firenze durante la guerra e incontra don Raffaele Bensi che diventerà suo padre spirituale. Chiede di entrare in seminario per lo sconcerto della famiglia, viene ordinato sacerdote nel ’47 ed è presto considerato un prete eccentrico. Inviato a San Donato di Calenzano, decide di dedicare la sua attività pastorale alla scuola popolare istituita per combattere l’analfabetismo di ritorno a causa della guerra. È una scuola serale per i giovani che lavorano nelle aziende di Prato, dove il libro più usato è il quotidiano e al venerdì si organizzano conferenze con persone illustri “Il suo modo di fare aveva disturbato i suoi confratelli e i benpensanti del posto che erano andati in curia a lamentarsi per le sue iniziative – ha detto il professor Simeone – Nel ’54 viene trasferito a Barbiana dove apre la scuola. Gli alunni non ci sono, deve convincere le persone a mandare i figli a scuola. Si studia leggendo il giornale”.

Nel 1960 si ammala di linfoma, non smette mai di dedicarsi ai ragazzi fino all’ultimo giorno della sua vita. Alcuni ragazzi della sua scuola sono portati alla esame di ammissione magistrale ma sono bocciati. Dallo studio dell’abbandono scolastico nasce Lettera a una professoressa, la denuncia di una scuola che amplifica anziché ridurre le differenze. “Del priore di Barbiana si è detto molto: alcuni lo presentano come la causa della scuola italiana, altri come modello inimitabile – ha spiegato il relatore – nel rileggere i suoi scritti per il lettore è invitato a interrogarsi senza seguire le strade dell’ovvio alla ricerca della verità. Il suo messaggio è ancora attuale”.

Per don Milani la scuola è l’elemento centrale della sua attività pastorale. L’obiettivo della scuola popolare era dare la parola ai poveri, fornire strumenti par sentire la propria voce e esprimere il proprio pensiero per avere una società più giusta. Nella concezione generale della vita di don Milani, la persona avrebbe attuato se stessa solo dopo aver rotto la cappa dell’ignoranza.

“Il sapere serve per essere donato. La scuola invece favorisce spesso la competizione e un approccio strumentale al sapere. ‘I care’, il motto di don Milani, è l’opposto del ‘me ne frego’ fascista. Implica la capacità di uscire da sé per assumere i problemi dell’altro. Il fine ultimo di ogni intervento educativo è che l’altro cresca e diventi più grande del proprio maestro” ha ricordato ancora Simeone.

Per Renata Nosengo “i ragazzi hanno bisogno di trovare un posto nella società. Don Milani ci dice come dovrebbe essere un insegnante, una persone che deve mettere l’anima nel lavoro. Ora la scuola è adeguata per gli studenti medi, ma non per gli eccellenti e i deboli. La scuola deve essere di tutti ma temo che adesso non lo sia”. Per Raffaella Norese “la scuola è sentirsi come gli altri, è costruzione di una cittadinanza e di una lingua comune. Servono docenti preparati, soprattutto nel sostegno”.

Domenico Simeone ha ricordato ancora che manca un patto educativo globale che riguarda tutti gli adulti che abbiano una responsabilità educativa. Per don Milani fare l’educatore era il compimento del suo percorso pastorale, non aveva interesse a elaborare teorie dell’educazione ma voleva fornire una risposta ai ragazzi.. “Oggi la scuola di don Milani sarebbe molto più esigente e impegnativa. La scuola senza valutazione di cui si parla spesso non è più semplice. Per quanto riguarda il merito, bisogna sempre ricordare che non tutti partono dallo stesso punto. Occorre dare strumenti maggiori a chi ha più difficoltà ed è rimasto indietro. Che cosa merita chi merita? Il premio è potersi dedicare di più agli altri e insegnare agli altri. Non è importante raggiungere il livello più alto, ma ridurre il divario tra chi sa e chi non sa, tra chi nasce povero e chi nasce ricco altrimenti non tutti possono avere le stesse possibilità. Chi ha più opportunità deve metterle al servizio di tutti”.