Anche quest’anno l’Associazione Cultura e Sviluppo ha organizzato un incontro di riflessione in occasione del Giorno della Memoria in ricordo delle vittime dell’Olocausto. L’iniziativa è stata organizzata insieme all’Isral, l’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, per la presentazione del libro della professoressa Sisa Ferrari, Armando Ferrara. Dalle Langhe a Flossenbürg. Memorie di un partigiano deportato, edito da Falsopiano.
Dopo l’introduzione di Giorgio Barberis, che ha ricordato Giampiero Armano, per anni curatore delle iniziative dedicate alle scuole per il Giorno della Memoria, è intervenuta Luciana Ziruolo, direttrice dell’Isral. Armando Ferrara è riconosciuto come partigiano nelle banche dati piemontese e del Ministero della Cultura ed è citato nel libro di Oscar Farinetti dedicato a suo padre. “Dopo la lettura del dattiloscritto di memorie di Ferrara, del quale Sisa Ferrari era in possesso, mi sono convinta dell’opportunità di una pubblicazione. Queste pagine sono rimaste in un cassetto per più di 75 anni e non sappiamo se sono coeve agli eventi, poi è stato ritrovato anche il manoscritto – ha detto Luciana Ziruolo – Si dibatte molto del rapporto tra storia e memoria e come Istituto pensiamo che sia fondamentale ‘una memoria per la storia’. Il libro è una memoria salvata”.
C’è stato anche un periodo di oblio: i testimoni non volevano ricordare per la paura di non essere creduti e lo Stato viveva un senso di sconfitta, per aver assistito allo sterminio, per il rimorso di quanto era accaduto, per non aver capito e non aver voluto vedere. La svolta è avvenuta col processo ad Adolf Eichmann: “Iniziano le testimonianze, i racconti, si dice l’indicibile, la rabbia, il dolore, le accuse, la memoria aumenta fino quasi a tracimare. L’eccesso di memoria è diventato materia per un uso pubblico della storia. La memoria ha contribuito ad aumentare il sapere storico. Flossenbürg compare poco tra le pubblicazioni e questo libro aumenta le conoscenze e il sapere su ciò che avveniva in quel campo” ha spiegato la direttrice dell’Isral.
“Il documento mi ha colpito per l’efficacia del racconto, parlava di cose che non sapevo. La voce del narratore è molto efficace – ha detto Sisa Ferrari – Flossenbürg era un campo importante, uno dei più grandi macchinari di eliminazione di ebrei e prigionieri politici. Italo Ferrara aveva in casa un dattiloscritto e altre cose scritte a mano su un registro contabile da suo padre”.
Un nipote di Ferrara ha ritrovato anche una fotocopia del registro, Ferrara aveva disegnato una copertina in bianco e nero. Al ritorno dopo la deportazione ha fatto una vita normale ma ha sempre mantenuto la volontà di testimoniare. In famiglia non ne parlava molto ma c’era l’intenzione di lasciare sulla carta la sua storia per rendere onore ai compagni che non sono tornati, molto più giovani di lui. Ferrara era il capo, cercava di tenere su il morale il gruppo. Quando tornò nel luglio 1945, liberato da maggio, era l’unico sopravvissuto. “È un racconto di tutti gli orrori visti e vissuti, la deportazione, il treno, gli ammassamenti, gli ebrei vestiti a righe, l’odore della carne bruciata, il campo dei bambini” ha raccontato l’autrice.
Dopo lo sgombero del lager, Ferrara non era più in grado di muoversi ed era rimasto agonizzante sul ciglio della strada. Fu portato in un ospedale americano ma venne dimesso ancora senza forze, Fece un voto a santa Rita, la santa degli impossibili, e riuscì ad arrivare a Torino. Qui si recò subito al santuario di Santa Rita, dove tornerà ogni anno.
Italo Ferrara ha ricordato quando il padre è stato portato via ma soprattutto quando è tornato: “Da Torino è arrivato in treno fino a Bra, poi con un passaggio ad Alba e poi a piedi è salito fino a Trezzo Tinella. Ricordo che mi sono sentito chiamare, che ha aperto le braccia e ci siamo rotolati per terra insieme. Questo è per me il ricordo indelebile. Il desiderio di mio padre era che la sua memoria non fosse dimenticata”.
Cesare Panizza, storico e neo direttore della rivista Quderno di Storia contemporanea, ha parlato del fatto che spesso si sovrappongono tipologie diverse di deportazione. Ci sono stati gli italiani che si sono trovati in Germania contro la loro volontà, i soldati che si sono rifiutati di combattere con la Germania nazista, i lavoratori ai quali i tedeschi hanno impedito di rientrare in Italia e i deportati a diverso titolo nei campi di concentramento. “Ottomila ebrei sono stati destinati ai campi di sterminio, 23 mila persone sono finiti nei campi di concentramento come deportati politici. Circa la metà di essi muore nei campi. Nella nostra provincia ci sono stati 260 deportati politici. Flossenbürg è un campo fondato nel 1938 dalle SS per la rieducazione attraverso il lavoro dei deportati politici. Inizialmente cavano pietre, poi vengono utilizzati anche per la produzione bellica. Non è prevista l’eliminazione fisica ma le condizioni molto dure”.
Nel 1946 è avvenuta la stesura del testo da parte di Armando Ferrara, negli anni 60 la riscrittura con l’obiettivo della pubblicazione. “La scrittura di getto rappresenta un bisogno catartico di raccontare un dolore che diversamente non potrebbe avvenire. Quello che si racconta non è credibile per la sua brutalità. C’è anche il bisogno di parlare dei compagni che non sono tornati. Ferrara capisce che gli altri sono indifferenti a ciò che gli è capitato – ha spiegato lo storico – per gli ebrei c’era la comunità che aveva vissuto la tragedia ma per i deportati politici c’erano solo i famigliari pronti ad ascoltare con il rischio di rinchiudersi nella dimensione del reduce che parla con altri reduci”.
Gli interventi sono stati intervallati dalle letture sceniche dell’attore teatrale Michele Puleio, tratte dal libro.
Qui potete rivedere l’incontro