Per affrontare il tema della relazione ? «La cultura è umanistica o scientifica?» ?  pare opportuno riflettere innanzitutto su quale tipologia di scuole dovrebbe accompagnare i giovani lungo il percorso che li accosta alla cultura, partendo tuttavia dalla premessa che qualunque cultura caratterizzata da applicazioni e impegno costante e che offra un metodo per reinserirsi all’occorrenza nel percorso formativo sia una «buona» cultura, perché si presenta adeguata alle esigenze della società odierna che richiede alle nuove generazioni un costante impegno per imparare a imparare.

La prima operazione logica che ora compieremo consistenel tentativo di elaborare preliminarmente, a questo proposito,  una definizione delle due tipologie di cultura ? quella umanistica e quella scientifica ?attraverso un approccio analitico storico che ci permetta di focalizzare meglio l’attenzione sul progressivo rapporto instauratosi tra le stesse.

Si osserva come la netta distinzione che in passato si è creata, ad esempio, tra il Liceo Classico e il Liceo Scientifico nel nostro Paese possa rappresentare efficacemente lo specchio della percezione del rapporto tra il patrimonio di conoscenze umanistiche e scientifiche detenuto ed espresso dalle élite culturali italiane: percezione alla quale si può far risalire (abbastanza chiaramente) la causa della convinzione ? piuttosto diffusa ? della «superiorità» della cultura umanistica su quella scientifica.

Con il passare del tempo, soprattutto in Europa, è emersa nel mondo umanistico e in quello scientifico una propensione valutativa, con effetti anche didattico-pedagogici, che non riconosceva più come legittime le dichiarazioni di superiorità dell’una sull’altra cultura e che ha creato di fatto una situazione caratterizzata da importanti tentativi per individuare punti di contatto tra le due forme di cultura ? e infatti risalgono agli anni Sessanta, ad esempio, i primi saggi che coloravano di «protagonismo a-culturale» (nel senso di protagonismo non-classificabile rigidamente negli schemi dualistici di appartenenza all’una o all’altra cultura) il paesaggio intellettuale dell’epoca, tentando al contrario di creare un dialogo tra due mondi da sempre divisi.

Volendo ora focalizzare l’attenzione sugli aspetti principali delle due culture iniziando da quelli della cultura  scientifica, si rileva come gli elementi chiave di quest’ultima possano essere ricercati nella ricerca:

 

 

             

·         dei fatti;

·         dei dati;

·         delle cifre, precisando che è importante definire i fatti secondo regole traducibili in cifre.

 

Al contrario, la cultura umanistica, esplora e racconta la vita, i sentimenti, i sogni e la bellezza attraverso i meccanismi del pensiero filosofico, configurandosi dunque come la tipologia culturale di ciò che siamo quando ci incantiamo di fronte ad un tramonto, a un quadro e in generale in rapporto a situazioni in cui mancano dati misurabili obiettivamente ? e al cui posto è possibile disporre soltanto della traduzione letteraria del critico: traduzione che si sostanzia nell’estrinsecazione della reazione personale e interiore di un particolare soggetto nei confronti di eventi (tramonto, vista di un quadro ecc.) che si verificano all’esterno.

Si rileva quindi che i principali punti cardinali della cultura umanistica possano essere individuati nei seguenti elementi:

 

             

·         le opinioni;

·         le visioni: la capacità di ridefinire le cose, di stabilire nuove priorità, grazie alla quale alcuni personaggi sono stati in grado si cambiare la nostra vita;

·         la bellezza essenzialmente legata alle sensazioni di piacere provate dall’uomo nella vita pratica e rappresentate evocando colori e muovendo universi dentro di noi;

·         i sogni, comunemente identificati con gli ideali, che si pongono al confine tra le due culture; infatti, i sostenitori della cultura umanistica imputano alla cultura scientifica di essere arida proprio per la mancanza, nei suoi tratti salienti, dei sogni; viceversa i sostenitori della cultura scientifica definiscono i primi dei sognatori sottolineando che considerano importante costruire gli ideali fatto-dopo-fatto piuttosto che limitarsi a sognarli.

 

In passato, in Europa, come si è detto era diffusa l’opinione secondo cui la cultura umanistica consentisse di percorrere un iter formativo onnicomprensivo poiché era considerata in grado di sviluppare armonicamente tutte le facoltà della persona, quindi non solo quelle intellettive ma anche quelle morali, creative e fisiche.

Tale contrapposizione non può tuttavia riscontrarsi agevolmente ad esempio nella società americana, in cui sembra invece prevalere la convinzione secondo cui il destino e la carriera del singolo siano in qualche modo connessi e «legittimati» dall’idea in base alla quale l’educazione non deriva soltanto dalla lettura dei libri o dall’adozione di particolari modelli teorici, ma sia anche l’espressione delle esperienze concrete, in virtù di una particolare continuità tra i processi naturali e quelli culturali.

Non a caso i telegiornali americani sono generalmente articolati in due parti: l’una finalizzata all’esposizione dei dati e dei fatti, l’altra diretta invece a raccontare di volta in volta i costumi e le caratteristiche peculiari della vita di un determinato Paese poiché vi è la convinzione che l’informazione possa essere trasmessa sia attraverso i dati obiettivi sia con la forza delle emozioni.

Se dunque, in generale, sia negli Stati Uniti sia nel resto del mondo extraeuropeo è possibile riscontrare una certa tendenza volta a considerare i due approcci culturali (quello umanistico e quello scientifico) semplicemente come due aspetti dello stesso modo di rappresentare la realtà, nel Paesi appartenenti all’Europa meridionale e latina pare resistere ancora una considerevole propensione a ritenere «distinte e distinguibili» i due approcci per analizzare la realtà.

Si pensi ad esempio alla letteratura americana che, a differenza di molta produzione letteraria europea, tende ad essere fondata sul riferimento a situazioni verosimili (derivando tale inclinazione dal successo consolidato nel tempo, già dalla fine del xix secolo, di una particolare tradizione letteraria di stampo realistico caratterizzata dall’esigenza di analizzare la nuova realtà industriale nei suoi aspetti sociali, nei suoi risvolti psicologici e con intenti documentari e critici.

Il bisogno di descrivere nelle opere letterarie una realtà che fosse verosimile non sembra essere stato di primaria importanza nella grande narrativa europea, come risulta ad esempio dal contenuto de «Il tamburo di latta», una famosa opera di Gunter Grass il quale vuole disporre pienamente del «cilindro magico» di ogni grande romanziere europeo che trae di volta in volta cose sempre nuove, senza mai mettere le briglie alla propria fantasia (il protagonista de «Il tamburo di latta» è infatti Oskar, un bambino di tre anni il quale si rifiuta di crescere ulteriormente e, anzi constata che la soluzione migliore sarebbe di tornare nel ventre materno, vista la realtà in cui vive).

Peraltro, a dispetto di tanta fantasia il mondo inventato da un autore come Grass sta in rapporto diretto con la realtà storica; infatti, sullo sfondo della vicenda del «Tamburo» non si riconosce soltanto la storia autentica in quanto, da un lato, al pari di Grass, il personaggio di Oskar è nativo di Danzica e, da vero «nano della sua epoca» assiste in prima persona alla presa della città da parte di Wehrmacht ma, dall’altro lato, anche le sue figure possiedono tratti ben precisi e ben riconoscibili nonostante l’autore immerga il tutto nella sfera del simbolismo, della favola moderna.

 

Proseguendo l’analisi storica del rapporto tra cultura umanistica e scientifica, si riscontra che all’inizio del xx secolo si sia verificato un avvicinamento tra le due culture perché le grandi strutture industriali e la conseguente tensione tecnologica entrano a far parte della realtà quotidiana rappresentata nella produzione letteraria europea. Costituiscono un importante esempio le opere dei Futuristi nelle quali si esalta la civiltà delle macchine; in particolare la velocità, il dinamismo, il fervore della vita quotidiana, i suoni e i rumori del presente diventano ben presto i principi ispiratori di poetica e poesie.

In un tale rinnovato clima culturale si rileva tuttavia anche l’affermarsi delle ideologie che sono sostanzialmente assimilabili ai sogni e caratterizzate dalla (ingiustificata) pretesa di equipararsi alle teorie e argomentazioni scientifiche ? le quali, come tali, si ritengono «provate e probabili» alla pari delle equazioni matematiche.

 

Il xx secolo ha conosciuto in ogni caso due grandi vie grandi vie d’uscita al dilemma delle preferibilità dell’approccio scientifico rispetto a quello umanistico (e viceversa):

 

             

·         da un lato, la psicoanalisi: che ha costituito un sovvertimento dei punti di riferimento propri delle culture precedenti (si pensi, ad esempio, alle ideologie di Marx e Engels) e proprio per tali caratteri ha suscitato una profonda diffidenza;

·         dall’altro, la riforma promossa in Italia da Giovanni Gentile, il quale mettendo in luce i limiti dell’approccio didattico fino ad allora presente nel nostro Paese ? in base al quale l’uomo veniva scomposto nelle mitiche facoltà dell’intelligenza, della memoria e della volontà, ciascuna considerata indipendente dalle altre ? ha proposto il metodo didattico-storicistico. Secondo tale approccio la scuola è davvero «scuola» quando nella lezione il maestro cessa di essere un individuo particolare, con i suoi problemi particolari, le sue delusioni e preoccupazioni ma rivive lo svolgersi della storia dell’uomo, ricostruisce le conquiste dell’uomo nella storia dell’arte, nella scienza e in generale nella civiltà di cui sa evocare la grandezza e la tragedia. Allora, nota Gentile, anche l’allievo dimentica se stesso, la fatica e la noia e diventa tutt’uno con l’avventura dello spirito, ascoltata e intesa quindi nell’atto didattico concreto: in altre parole,  maestro e allievo non sono più separati bensì costituiscono una sorta di «sintesi a priori», immersi nello stesso contagio spirituale.

 

Tale tipologia gentiliana di procedura formativa, denominata «didattica speciale storica» per indicarne l’accadere immediato, libero e creativo, è tale in quanto lascia al soggetto la possibilità di esprimersi e si piega alle esigenze dello spirito.

Si riscontra peraltro che accanto alla psicoanalisi e alla «didattica speciale storica» di Gentile sono presenti due percorsi minori ricchi di potenzialità, che tuttavia sono risultati spesso incapsulati nelle grandi categorie culturali ? umanistica e scientifica:

 

             

·         da un lato, ritroviamo l’interesse per la psicologia che si è diffuso nel corso del secolo scorso prevalentemente nei Paesi in cui la tradizione culturale presentava maggiori elementi di libertà e elasticità; mentre minore è la diffusione nei Paesi caratterizzati da tratti culturali differenti, generalmente riconnessa alla volontà di evitare che la psicologia urtasse contro consolidamenti dogmatici che fornivano un immagine ben precisa della realtà;

·         a metà strada tra la realtà fattuale e la soggettività tipicamente umanistica si pongono gli studi sociologici ? per lungo tempo non riconosciuti attendibili ? attraverso i quali si è giunti a importanti conclusioni, quali ad esempio quella secondo cui il giovane dovrebbe avere l’opportunità di attingere alle conoscenze anche nei luoghi dove esse si producono o generano azioni, quindi nelle istituzioni extrascolastiche, nelle aziende ecc.

 

All’apporto della sociologia si aggiungono gli studi condotti da Albert Einstein ad avvalorare la possibilità che sussistano forme di interazione tra quei due mondi culturali che in passato nella tradizione europea erano considerati separati per la loro intrinseca natura: Einstein infatti ha condotto la scienza ad un punto oltre il quale vi è lo spazio per forme di interpretazione non propriamente scientifiche, ma di natura religiosa e poetica.

In questo senso, si ritiene opportuno far notare come attualmente alla Rockfeller University negli Stati Uniti vi siano gruppi di autorevoli ricercatori che ammettono che alcune delle loro più importanti ricerche nascano da un’intuizione letteraria che permette di individuare un percorso in cui la verifica scientifica può riguardare soltanto il punto di arrivo.

 

Un altro aspetto della realtà in cui si ritiene che possano interagire costantemente la cultura umanistica e scientifica è l’economia e si sottolinea l’esperienza particolarmente significativa in tale direzione di Amartya Sen (Premio Nobel del 1998) indiano del Bengala, titolare di due cattedre ad Harward: l’una di Filosofia Morale, l’altra di Economia, il quale racconta di aver vissuto nel corso dell’infanzia un’esperienza al tempo stesso traumatica e formativa: aveva nove anni quando vide morire davanti a lui un uomo a causa delle grandi carestie cui era soggetta la zona in cui viveva.

Grazie a quell’esperienza nasce il filosofo morale il quale ritiene che tutti gli uomini abbiano lo stesso diritto di stare al mondo: un diritto che, tuttavia, è principalmente ricollegabile alla zona in cui il soggetto potenzialmente titolare del diritto effettivamente risiede e ha quindi la possibilità di vivere bene oppure di rischiare di morire ad esempio a causa della mancanza del cibo. Nello stesso modo nasce la teoria della penuria – sintetizzata da Sen con la parola logistica, secondo cui generalmente si tende a sprecare i beni laddove ve ne sono in abbondanza, anziché portarli nelle zone in cui mancano.

L’esperienza di Amartya Sen è significativa perché permette di porre in evidenza in quale modo l’economia consente non soltanto un’analisi obiettiva dei dati ricavati dalla realtà circostante ma anche un approccio soggettivo agli eventi ? tipicamente umanistico ?, che sottolinea le speranze e le attese degli uomini.

 

Ciò detto, pare condivisibile la scelta dell’Università di Harward la quale, al fine di favorire un iter formativo che consenta allo studente di approfondire gli aspetti di entrambi gli approcci culturali, ha imposto che nella fase undergraduate il core curriculum preveda che tutti coloro che prediligono le materie scientifiche inseriscano nel percorso di studi almeno tre esami di arte e letteratura (e viceversa), in modo tale che nessuno giunga alla professional school (fase graduate) con una formazione incompleta.

 

Si nota peraltro che, per esempio, alla Columbia University la componente di studenti provenienti dall’area asiatica ? componente assai significativa nelle università statunitensi, coinvolta anche nello svolgimento di ruoli importanti nella ricerca e nella didattica ? tende a prediligere gli studi scientifici mettendo chiaramente in luce una forma particolare  dell’orientamento del multiculturalismo americano il quale, nella sua versione più recente, enfatizza proprio l’approccio scientifico perché consente di non confrontarsi con i valori umanistici che appartengono alla cultura tipicamente europea e occidentale.

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

             

v      Si osserva come per gli studenti universitari appartenenti alla cultura asiatica possa essere effettivamente difficile accettare la critica letteraria e filosofica degli autori europei e vedere nella metodologia propria della cultura umanistica occidentale elementi analoghi a quelli peculiari della metodologia scientifica. Si domanda allora in quale modo possano trovarsi punti di contatto tra la cultura umanistica e quella scientifica tali da essere facilmente (e serenamente) accettati sia dagli occidentali che dagli studenti extra-occidentali (dr. F. Guala)

 

 

             

v       Si riscontra come in un mondo in cui prevale una cultura tecnologica, uno dei grandi pericoli è vedere soltanto la realtà che appare; l’uomo infatti pare indotto a eludere un patrimonio storico, che invece si ritiene necessario recuperare continuamente per un corretto confronto con la realtà circostante (dr.ssa L. Martinetti)

 

                    

Ø                Si rileva che la difficoltà di accettare un atteggiamento critico faccia parte della tradizione della cultura asiatica. Peraltro una domanda ricorrente negli ultimi tempi è quella relativa alle modalità di interazione efficace e significativa tra culture differenti alla luce della scelta di preferire il linguaggio della scienza poiché non soggetto a molteplici interpretazioni. La contrapposizione culturale cui si è fatto riferimento nel corso della relazione, e che di fatto ha impedito l’individuazione di punti di contatto, riguarda un periodo storico in cui si credeva nella superiorità della cultura umanistica su quella scientifica; oggi ci stiamo progressivamente avvicinando ad un mondo diverso in cui si è convinti possano esservi tutte le premesse per abbattere il muro della contrapposizione dando vita ad una realtà in cui nessuno avrà diritto di far pesare all’altro la propria superiorità perché la nuova cultura sarà caratterizzata dalla molteplicità degli atteggiamenti culturali e psicologici. Si osserva come sia possibile già intravedere tale realtà multiculturale «paritaria» ad esempio nelle équipe mediche americane costituite generalmente da soggetti provenienti da culture differenti e che operano sui corpidei pazienti che, metaforicamente parlando, potrebbero essere assurti a simbolo della «nuova» cultura.

 

 

                         

Ø                  La qualità fondamentale è quella che porta a possedere una identità forte, capace di rendere l’uomo maggiormente tollerante; viceversa, l’identità debole è considerata in genere fonte di disordini oltre che espressione di gracilità psico e sociologica. Si è convinti che attualmente rientri nelle competenze degli insegnanti collaborare con la famiglia per tenere il «segnaposto del posto» della vita, compito che nel xix secolo era affidato agli ufficiali militari e nel secolo scorso (appena concluso) ai manager. Tale competenza dei docenti si estrinseca con modalità differenti nell’ordinamento scolastico americano rispetto a quello europeo: nell’un caso, la scuola ha il compito di formare il cittadino, mentre nell’altro cura la formazione del bagaglio culturale dell’individuo. Parimenti differenti sono le conseguenze di un eventuale fallimento dell’obiettivo scolastico: se in America la scuola non riesce a trasmettere agli studenti i tratti salienti del percorso per diventare buoni cittadini, nel peggiore dei casi abbiamo dei potenziali assassini; in Europa invece al mancato conseguimento del traguardo scolastico può conseguirne al massimo la presenza di una persona ignorante. Si fa notare come in America la scuola rivesta un ruolo che per antonomasia dovrebbe spettare principalmente alla famiglia, perché in virtù della cultura della mobilità i giovani sono soliti frequentare istituti che sono molto distanti dalla residenza del loro nucleo familiare, quindi spetta agli insegnanti normalmente tentare di fare le veci della famiglia e consigliare i giovani in merito alle scelte che si trovano a dover compiere.

 

 

 

             

v      Si osserva come il rischio di una impostazione didattica ti tipo storicistico-gentiliano possa rendere gli allievi poco attori. Si chiede se tale modello possa avere una controparte più attiva (dr. E. Boccaleri).

 

 

             

v       Si riscontra come le problematiche relative all’esistenza contemporanea di «sogni e numeri» è presente anche in altre culture, le quali hanno occasione di «incrociarsi» con molta più frequenza di prima. Si domanda in quale modo le altre culture ? che con una rapidità sempre maggiore giungeranno ad incontrarsi con la nostra ? risolvano i problemi della contrapposizione tra scienza e umanesimo (sig. M. Punzio).

 

 

                         

Ø                  Si nota come il rischio di un buon insegnante sia quello di determinare negli studenti un atteggiamento di rasserenamento, mentre un cattivo educatore generalmente produce in chi lo ascolta un sentimento di rafforzamento antagonistico. Si ritiene che il segreto del buon insegnante possa essere la capacità di coinvolgere talmente tanto lo studente da scatenare in lui la curiosità di scoprire le radici delle cose, non fermandosi allo stadio del puro sapere.

 

 

                         

Ø                  Si ritiene che ciascuno di noi progressivamente cambi e quindi, in qualche modo, siamo sempre più pronti potenzialmente a raggiungere un punto di incontro per un efficace dialogo interculturale, purché le dimensioni di tempo e di ideali siano le stesse. È importante che nell’incontro non si verifichino atteggiamenti di eccessivo conflitto dell’uno oppure di resa dell’altro, perché non si ritiene opportuno rinunciare a importanti passaggi della propria tradizione culturale per il solo fatto che non sono presenti nell’altra/e cultura/e.                              Si fa notare, ad esempio,  come all’interno di una scuola elementare del quartiere S. Salvario di Torino sia stata creata una importante situazione di «umanità multiculturale» grazie alla capacità delle insegnanti di far comprendere le modalità con cui studenti di diverse culture possono interagire tra loro in modo utile e portare nella realtà esterna l’esperienza vissuta nel microcosmo scolastico.

 

             

v      Si osserva come lo studio della storia contemporanea generalmente si interrompa con la seconda guerra mondiale; si ritiene invece opportuno uno studio approfondito degli avvenimenti degli ultimi cinquant’anni per abbattere molti pregiudizi generati da una diffusa situazione di non-conoscenza della storia contemporanea stessa (sig. G. Torchia).

 

 

             

v      Alla luce della considerazione secondo cui gli esponenti delle culture asiatiche preferiscano non confrontarsi con tradizioni culturali differenti dalla loro, propendendo verso un comune linguaggio scientifico-tecnologico, si domanda se nell’intento di salvaguardare la loro non corrano incontro alla cultura omologante propria del sapere tecnologico (dr. G. Guala).

 

                         

Ø                  Si condivide l’invito di approfondire meglio gli avvenimenti successivi alla seconda guerra mondiale per rendersi conto che, da quel momento in poi, il mondo ha la storia in comune poiché tutto ciò che è accaduto, è accaduto a tutti, e questo è peraltro uno dei meccanismi che unisce le varie tradizioni culturali.

 

 

                         

Ø                  Si è convinti che l’insieme del sapere tecnologico costituisca uno dei modi per interpretare l’esistente, ma non si può arrivare a considerarlo la nuova ideologia poiché non pare capace di riorganizzare i legami tra gli esseri umani. Si ritiene che l’uso delle tecnologie possano avere rilevanti implicazioni non soltanto sull’economia (si pensi agli effetti della diffusione dell’e-commerce) o della politica, ma anche in ambito comportamentale. Si nota infatti la differenza di atteggiamento di chi, ad esempio, scrive una lettera (sia di apprezzamento sia di diniego) su carta da chi invece usa l’e-mail,  perché in questo secondo caso la persona si sente sola in rete e quindi è possibile riscontrare una maggiore libertà nella manifestazione delle proprie opinioni. Un altro aspetto fondamentale è quello relativo alla circostanza che la lettera tradizionale su carta  in qualche modo appartiene a chi l’ha mandata, mentre l’e-mail è sentita come totalmente separata da colui che la scrive.

 

 

             

v      Si domanda per quale motivo vi sia la tendenza a considerare umanistica soltanto la cultura conosciuta (di tipo occidentale) e a ignorare le molteplici culture millenarie sconosciute. Si chiede inoltre se possa profilarsi la possibilità di studiare orientamenti culturali differenti (dr. R. Guala).

 

 

             

v      Si chiede se l’uso del linguaggio scientifico possa favorire vieppiù occasioni di contrapposizione tra cultura (in senso generale) occidentale e quelle non-occidentali (prof.ssa A. Porrati)

 

                         

Ø                  Si ritiene opportuno proporre una reading list che permetta agli studenti di conoscere le modalità di interpretazione della vita da parte delle altre culture «non-occidentali». Si fa poi notare come alla Fiera del Libro di Torino dello scorso anno siano stati mostrati numerosi libri di fiabe propri, ad esempio, della cultura africana. Si ritiene che tale esperienza sia molto significativa poiché consente di creare una contiguità tra le capacità illustrative presenti nelle diverse culture.

 

 

                         

Ø                  Si precisa che la convinzione che il linguaggio tecnologico-scientifico sia diventato il linguaggio «comune» non significa che si siano già creati i presupposti per l’identificazione di una generale condizione irenica tra le culture e lo dimostra tra l’altro la circostanza che, ad esempio nei gruppi statunitensi di alta ricerca scientifica (oggettivamente «multiculturali») la cooperazione si limiti per ora a motivi strettamente funzionali ? e, nel tempo libero, i Cinesi preferiscano  continuare ad incontrarsi con i Cinesi e così via.

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