“In economia politica, così come nelle scienze sociali, il ‘cigno nero’, definizione elaborata dal saggista, matematico e filosofo libano-statunitense Nassim Taleb, è un evento raro, non previsto e quindi inatteso, che ha effetti rilevanti o persino dirompenti sul sistema economico e sulla società nel suo complesso. Etimologicamente il termine deriva dalla supposta inesistenza del cigno nero nell’emisfero boreale sino alla fine del 600”: il professor Carluccio Bianchi, docente di Problemi dell’economia italiana all’Università del Piemonte Orientale, ha introdotto così il contesto macroeconomico nell’incontro dedicato alla crisi energetica attuale. Insieme a lui sono intervenuti Luciano Canova e Stefania Migliavacca, entrambi economisti e docenti al Master Medea (Management of Environmental and Energy Economics) della Scuola Enrico Mattei.
Nel secolo in corso abbiamo conosciuto almeno tre “cigni neri”, di cui due negli ultimi anni: la grande crisi finanziaria globale del 2008-2009, a cui in Europa abbiamo aggiunto la coda della crisi dei debiti sovrani del 2010-2012; la pandemia da coronavirus del 2020, tuttora non conclusa; l’invasione dell’Ucraina del 2022, che ha acuito una gravissima crisi energetica già iniziata nel 2021 ma che oggi sta assumendo dimensioni enormi.
Il professor Bianchi ha spiegato che “l’economia italiana è quella che è cresciuta meno tra tutti i paesi industrializzati, un punto in meno dell’Unione monetaria europea e due in meno degli Stati Uniti. Tutto ha origine dall’aumento del prezzo delle fonti di energia, gas e petrolio, per il conflitto russo-ucraino. Inoltre l’euro si è svalutato e il prezzo dell’energia elettrica è accoppiato al prezzo del gas naturale, seppure solo il 40 per cento provenga da questa fonte”.
L’aumento dei costi dell’energia si è riverberato sui prezzi provocando l’inflazione. I pensionati e i lavoratori dipendenti perdono potere di acquisto, i lavoratori autonomi possono invece adeguare il compenso all’inflazione, perdendo un poco meno. A causa di questo le famiglie riducono i consumi se hanno redditi bassi o i risparmi se il reddito è medio-alto. Le imprese più energivore vedono aumentare i costi, riducono i ricavi e incrementano i prezzi o producono di meno licenziando dipendenti.
Bianchi ha tracciato due scenari: “flussi di gas dalla Russia come nei recenti mesi e prezzi dell’energia come nei contratti future oppure uno scenario avverso con l’arresto delle forniture dalla Russia dalla fine del 2022 e con ulteriore rincaro dei prezzi dell’energia e un rallentamento del commercio mondiale”.
Luciano Canova ha parlato delle sfide e delle opportunità della transizione energetica. “Il fenomeno inflattivo durerà nel tempo ma fino a un anno fa si pensava fosse temporaneo e legato soprattutto alla pandemia”. Negli ultimi 60-70 anni gli episodi di forte inflazione hanno avuto la tendenza ad essere persistenti, poiché una volta raggiunto il picco, il tasso di crescita dei prezzi rimane a lungo su livelli significativi. Inoltre il periodo di disinflazione, che in media dura tre-quattro anni, è molto più lungo di quello di accelerazione dei prezzi. Gli episodi di forte inflazione sono per lo più inattesi, tuttavia le aspettative a breve si adeguano rapidamente al nuovo contesto. Nei mesi successivi al sorgere dell’inflazione anche le aspettative di crescita dei prezzi a lungo termine tendono a crescere ma solo leggermente e per qualche anno rimangono su tali maggiori livelli. Infine i tassi d’interesse nominali salgono ma meno velocemente dei tassi d’inflazione, così i tassi reali rimangono negativi. Anche le politiche fiscali tendono a non diventare particolarmente restrittive.
Ma in che modo la crisi climatica impatta sui prezzi o è associata all’inflazione? Nel lungo periodo ci sarà un aumento dell’inflazione di fondo di mezzo punto percentuale strutturale. C’è poi un fenomeno di greenflation, ovvero l’inflazione connessa alla transizione energetica la quale produce dei costi. Per alcune materie prime c’è alta domanda ma offerta ridotta. La climateflation è legata agli eventi estremi che producono danni che poi vanno risarciti. A seguito di questo aumentano i premi assicurativi e i prezzi dei prodotti alimentari.
Il professor Canova ha spiegato anche che “l’economia circolare rappresenta davvero un occasione di sviluppo con risparmi di costo. Ha vantaggi in tempi di inflazione. Il rifiuto diventa materia prima secondaria e migliora l’approvvigionamento. L’eterogeneità delle normative nazionali però è un problema. Deve essere reso vantaggioso per le imprese usare la materia prima seconda”.
Ma vogliamo veramente fare la transizione? L’intervento pubblico può facilitare il sostegno a chi vive in povertà energetica o alle aziende più penalizzate.
Stefania Migliavacca ha spiegato che esiste una scarsa tradizione culturale sui temi energetici: negli ultimi 30 anni la logica di mercato guidava il nostro Paese e anziché sulla sicurezza energetica si puntava alla convenienza economica. “L’abbondanza ci ha spinto a trascurare la rilevanza politica dell’energia: i prezzi erano bassi, le energie rinnovabili erano ancora considerate uno ‘stato d’animo’, il carbone è sporco, il nucleare pericoloso, il petrolio serve per i trasporti, rimane il gas naturale che è stato considerato il leader della transizione intrafossile”.
Nel periodo 2012-2014 la Russia invade la Crimea e c’è la primavera araba. La contrazione dell’offerta è compensata dalla shale revolution (l’estrazione di gas e petrolio dalle rocce) negli Stati Uniti. Crescono i mercati spot del gas e i volumi del gas naturale liquefatto. Il Ttf (Title Transfer Facility) si afferma come benchmark in Europa.
La Russia è diventato un fornitore importante: nel 2021 Gazprom ha esportato in Italia 29 Gmc di gas pari al 40 per cento del totale. L’Italia è l’unico Paese europeo collegato via tubo con cinque diversi luoghi di produzione: Algeria, Russia, Mare del Nord, Azerbaijan e Libia.
“Non si compra gas dove decide la Farnesina ma in base al mercato, cioè al prezzo. Ad esempio, il gas algerino è rimasto a lungo indicizzato solo a prodotti petroliferi Negli ultimi anni i russi hanno immesso gas anche sul mercato spot, oltre a quello previsto dai contratti a lungo termine” ha detto la professoressa.
Ma alla crisi energetica non ha contribuito solo la guerra. Si sono verificate una ripresa eccezionale domanda post-covid (l’offerta non teneva il passo), la competizione sul mercato del gas naturale liquefatto legato agli impegni di decarbonizzazione, una serie di manutenzioni straordinarie e condizioni climatiche speciali, come un inverno freddo, l’estate 2021 molto calda, la siccità, il vento sotto la media in Europa e una stagione degli uragani particolarmente aggressiva. Ad agosto 2021 in Italia la produzione di energia idroelettrica è calata del 42 per cento rispetto all’anno precedente, quella eolica del 14. La crisi ha messo in luce i risultati della mancanza di investimenti.
“Si pensava ‘perché investire? Tanto si decarbonizza e importare è senza rischi’. Nella certezza del futuro verde abbiamo ridotto l’offerta di fossili senza intervenire in maniera almeno equivalente sulla domanda. Un’asimmetria prolungata può mettere a rischio la fonte e farne esplodere il prezzo. Le importazioni europee di gas russo si sono ridotte del 73 per cento rispetto all’inizio del 2021, compensate principalmente dal gas naturale liquefatto”. Transmed potrebbe accomodare ancora circa 7 Gmc all’anno, ma Algeri non riesce ad aumentare ulteriormente la produzione nel giro di pochi mesi. Il Tap (gasdotto trans-adriatico) dall’Azerbaijan ha già raggiunto la sua capacità massima ed è già in corso uno studio di fattibilità per raddoppiarne i flussi, ma ci vorranno almeno quattro anni. Dalla Libia il problema e che l’instabilità del Paese fa sì che i flussi siano un quarto del potenziale. Ci sono poi altri gasdotti da Paesi Bassi e Norvegia ma più il resto d’Europa avrà bisogno di gas, meno ne arriverà in Italia.
L’Italia ha tre rigassificatori: al largo di Livorno, a Panigaglia (Sp) e al largo di Rovigo e ne sono previsti altri due a Piombino e Ravenna. Fino alla crisi, la capacità di rigassificazione era sottoutilizzata perché era più conveniente il gas via tubo.
La International Energy Agency prevede che, in condizioni di meteo normali, la domanda di gas in Unione Europea calerà del 6 per cento nel 2022, come conseguenza del rialzo dei prezzi, dell’efficienza energetica e del “gas to coal switch” nella generazione elettrica.
Il corridoio di prezzo dinamico temporaneo non fissa un prezzo massimo oltre il quale non si può scambiare, ma introduce un intervallo entro il quale il prezzo può oscillare. L’Unione Europea studia un nuovo benchmark basato sulle transazioni per il gas naturale liquefatto, separato dal Title Transfer Facility. Si valuta un tetto massimo al prezzo del gas nella produzione di energia elettrica. Il differenziale di costo tra il prezzo e i prezzi di mercato sarebbe a carico del sistema elettrico degli Stati membri. L’acquirente unico accentrerebbe gli acquisti di gas. In questo modo l’Unione Europea potrebbe aumentare il proprio potere contrattuale. Inoltre si potrebbe disaccoppiare temporaneamente i prezzi del gas e dell’energia elettrica, applicando una tariffazione diversa all’energia generata da fonti rinnovabili o nucleare. Il rischio è che queste riforme disincentivino le rinnovabili proprio quando il sistema energetico europeo ne avrebbe più bisogno.
“Non esiste una misura per risolvere questa crisi in modo rapido e indolore – ha concluso l’esperta di economia dell’energia – gli interventi temporanei possono mitigare gli impatti. Qualunque modifica strutturale va considerata con prudenza poiché rischia di mettere a repentaglio gli obiettivi di decarbonizzazione e integrazione dei mercati. Efficienza energetica e sburocratizzazione delle rinnovabili rimangono le priorità”.
Qui potete rivedere l’incontro