Quanto ha pesato la memoria storica della seconda metà del Novecento sull’identità europea? A questo interrogativo ha risposto Marcello Flores, già professore di Storia comparata e Storia dei diritti umani all’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies. Noto per i suoi studi sull’Europa e sull’Italia del Novecento, si è in particolare occupato di storia del comunismo sovietico e dell’immagine dell’Urss in Occidente, del genocidio armeno, di resistenza italiana e del Sessantotto globale.
L’incontro, dal titolo La memoria europea e la storia del Novecento, è stato realizzato nell’ambito del progetto Crei – The Creation of European Identity through Culture in the contemporary period, promosso dall’Università del Piemonte Orientale – Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche ed Economiche, in collaborazione con l’Associazione Cultura e Sviluppo, l’Isral e gli Archivi Storici dell’Unione Europea (Eui), co-finanziato dall’Unione Europea, programma Erasmus+, Jean Monnet Module.
Hanno partecipato anche Luciana Ziruolo, direttore dell’Isral (Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria), Cesare Panizza, direttore della rivista Quaderno di storia contemporanea e Giorgio Barberis, docente dell’Università del Piemonte Orientale.
“L’Europa è una pluralità di contesti nazionali irriducibili, non c’è solo il contrasto tra Est e Ovest – ha spiegato nell’introduzione Luciana Ziruolo – Esiste un modello memoriale occidentale fondato sulla memoria della Shoah, sempre meno antifascista e sempre più vittimario, e un modello orientale nato dopo l’elaborazione della caduta del muro di Berlino nel 1989 che possiamo definire antitotalitario. Il paradigma accettato è quello vittimario dei lager e dei gulag che hanno diritto a uguale giustizia”.
“Parlare ora di memoria e storia ci costringe a non ignorare ciò che sta avvenendo in Ucraina e in Israele, due situazioni nuove di conflittualità. L’aggressione russa all’Ucraina è la prima di una grande potenza nucleare nei confronti di un paese vicino – ha detto Marcello Flores – L’Onu lo considerava impensabile. La condanna delle Nazioni Unite era avvenuta finora solo tre volte: per la guerra di Corea, per la prima guerra del Golfo con l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq e per la Libia. In questa occasione, la stragrande maggioranza all’Onu ha votato contro la Russia e pochissimi l’hanno appoggiata”.
Per il professore “l’ordine del dopoguerra non esiste più e l’impotenza dell’Onu è l’aspetto più drammatico. Nel caso di Hamas, la violenza e la grandezza dell’azione nei confronti di Israele sono state una novità. Esisteva già un conflitto a bassa intensità, ma ora l’obiettivo principale di Hamas è rendere impossibile la vita di Israele e uccidere tutti gli ebrei che ci vivono”.
“La memoria è utile perché serve a tramandare l’identità collettiva. La complessità ha bisogno di fatica e mette in discussione le nostre convinzioni. Il rischio è che si abbia memoria solo del male che ci è stato fatto e che da questo derivino sentimenti di rabbia e indignazione. La storia è qualcosa di diverso. Purtroppo l’unico luogo dove è presente la storia è la scuola. La memoria condivisa non è possibile perché ci sono le emozioni di ognuno. La storia deve tenere conto delle memorie ma non accetta la supremazia di una sola, deve verificare quelle compatibili” ha detto ancora Flores.
Putin giustifica l’aggressione dell’Ucraina con il fatto di estirpare i nazisti al potere a Kiev e impedire il genocidio dei russofoni nel Donbass ma la Corte di giustizia internazionale non ha riconosciuto il rischio e gli ha chiesto di ritirare l’esercito. “Nessuno ha preso sul serio l’accusa di nazismo a Kiev. Il richiamo alla memoria del nazismo ucraino della seconda guerra mondiale è un mezzo per favorire un giudizio che già abbiamo elaborato: nella seconda guerra mondiale tutti i partiti ucraini hanno collaborato con i nazisti. Il collaborazionismo ucraino è stato di tipo etnico perché riguardava un gruppo che cercava di diventare stato”.
La guerra del 1948 ha consentito a Israele di ampliare i suoi territori e di cacciare i palestinesi dalle loro case. Poi ci sono state le due intifada e gli accordi di Oslo falliti. La storia deve capire e spiegare in un secondo momento in modo ampio: bisogna cercare di andare oltre la memoria. Occorre considerare le questioni di autodeterminazione e di sicurezza in quella realtà in conflitto: da parte palestinese il rifiuto della sicurezza di esistere nei confronti del nemico, da Israele il rinvio continuo del riconoscimento della autodeterminazione della Palestina.
“Dobbiamo raccontare ai più giovani ciò che accade e perché ma questo non avviene. La storia ha il compito di comprendere e spiegare ma non di dare giudizi, per quello ci sono i tribunali” ha concluso il professor Flores.