Più che una contrapposizione sarebbe meglio una comparazione tra il mondo occidentale e la Cina ma spesso lo si fa con categorie difficili da utilizzare per contesti così diversi. Allora è meglio conoscere qualcosa di lontano e diverso da noi.

Nell’incontro Media e rivoluzioni. Storie tra Oriente e Occidente, Gabriele Balbi, docente di Media Studies all’Università della Svizzera Italiana, e Gianluigi Negro, sinologo ed esperto di storia dei media cinesi, hanno presentato le loro ultime pubblicazioni e proposto un’interpretazione critica rispetto all’utilizzo dei media nella società contemporanea. A dialogare con i due autori Fabio Lavagno, docente di lingua e cultura cinese in due istituti superiori del territorio, autore di recenti contributi sul pensiero politico di Xi Jinping. Lavagno con l’introduzione di Maria Elisabetta Lanzone, docente e co-fondatrice dell’Associazione PerCorsi.

“Non conosciamo un Paese grande come l’Europa, da sempre il più popoloso al mondo. Conoscere la Cina consente di smontare gli stereotipi che abbiamo in Occidente – ha spiegato Fabio Lavagno – La Cina parla di sé come centro del mondo e usa il planisfero con il Pacifico in mezzo. Nella storia ci sono stati momenti di maggiore prossimità. La globalizzazione ha avvicinato i due mondi ma la pandemia ha creato una distanza. La Cina deve conoscere meglio il mondo ma anche il resto mondo deve conoscere la Cina. Non serve competere ma confrontarsi”.

La Cina ha una unitarietà linguistica, territoriale, culturale e politica dal 221 a.C. Il mondo occidentale invece nasce dalla commistione della civiltà romana con quelle barbariche. Quella cinese è una civiltà che si sviluppa intorno a due fiumi, in Occidente compare con Marco Polo, poi scompare fino all’800. La Cina non è una sola, ci sono tante lingue, tante etnie, come del resto l’Occidente non è uno.

Per Gianluigi Negro “i media, non solo in Cina, sono uno specchio della società. Nel libro ricostruisco le voci governative dal 1949, anno di fondazione della Repubblica Popolare Cinese, fino ad oggi. È un dialogo tra due discipline, la sinologia e i media studies. Gli osservatori devono usare chiavi di letture non occidentali, con una prospettiva cinese, non condividendo l’approccio ma cercando di interpretarlo”

Il controllo dei media ha caratterizzato tutta la storia della Cina ed è sempre stato capillare e radicato. La comunità è più importante dell’individuo. La lettura dei giornali avveniva in maniera collettiva. Il partito doveva promuovere la propria voce e difendere i propri valori. “Un controllo che c’è ancora oggi con i social network. C’è la censura ma anche il monitoraggio dell’opinione pubblica. Dal 1979 la Cina esce dall’isolamento e riattiva le relazione diplomatiche, diventando poi una potenza economica e politica. Con i Giochi olimpici del 2008 il Paese è connesso al mondo anche dal punto di vista dell’immagine e diventa forte anche fuori dai suoi confini” ha spiegato il sinologo.

“Il mio è un libro sulla comunicazione imperfetta. In Cina non si può accedere ai social media ma fanno credere che sia un errore. Eventi come l’incontro tra Mark Zuckerberg e Xi Jinping  sono silenziati e non sono uscite immagini. Ci sono persone pagate pochissimo che inondano i social di post positivi – ha detto il professor Gabriele Balbi – Ultima ideologia è una definizione forte, ma interpretata come visione del mondo. La rivoluzione digitale è stata importante per orientare i comportamenti, i sogni e i bisogni quotidiani, La Cina ha fatto una sua rivoluzione digitale ma non ha messo in forse che ci sia. Anche in Corea del Nord è così. È l’ultima rivoluzione anche in ordine di tempo. Si parla anche di trasformazione e transizione digitale”.

Per quanto riguarda Taiwan, Fabio Lavagno ha spiegato che si può considerare un punto di congiunzione tra Oriente e Occidente e a Occidente guarda anche dal punto di vista politico. “La maggior parte dei Paesi al mondo riconosce una sola Cina con capitale Pechino ma esistono due entità statuali con la loro evoluzione. L’isola di Taiwan ha 25 milioni di abitanti, una realtà difficilmente comparabile con la Cina. Entrambe rivendicano di essere la vera Cina. Differiscono per il regime di gestione del potere. La Cina è considerata un regime autoritario con il ruolo guida del partito comunista cinese. Taiwan è un’evoluzione democratica con una forma di presidenzialismo con un parlamento. Taiwan potrebbe resistere a un’eventuale invasione cinese con l’intervento di Stati Uniti e Giappone”.

Secondo il professor Negro “il covid è stato uno spartiacque. Sono state messe in atto politiche draconiane. Le app di tracciamento sono una forma di controllo della società dal basso. In termini di narrazione è stata invece una lotta del popolo contro il covid. Col virus le relazione sono cambiate: ci sono state ripercussioni dal punto di vista industriale, casi di sinofobia verso la comunità cinese e sinodiscendente in Italia”.