Un grande bagno di informazione monotematica sulla pandemia: l’Oms l’ha definito “infodemia”, un termine che indica quanto sia stata invasiva l’informazione nel periodo di emergenza sanitaria. E di come poter interpretare ciò che leggiamo e ascoltiamo sul tema è intervenuto al Caffè Scienza Piero Bianucci, giornalista scientifico, per anni direttore di TuttoScienze.
Dopo una breve descrizione delle caratteristiche del virus, Bianucci ha commentato le parole dei giorni scorsi del professor Andrea Crisanti. L’illustre scienziato ha detto che senza la validazione delle autorità competenti (Aifa, Agenzia europea del farmaco) non si vaccinerebbe. In effetti le notizia sono arrivate dalle case farmaceutiche, fonti cointeressate, oppure dai giornalisti. Crisanti, pur incauto nel rilasciare le dichiarazioni, ha detto che l’informazione non era scientificamente certificata ma i giornalisti hanno distorto le sue parole.
Bianucci ha poi spiegato come la notizia del coronavirus sia stata considerata un «cigno nero», un evento inaspettato e dalle enormi conseguenze. Altri fatti interessanti per un giornalista sono lo spillover, il salto di specie, sicuramente una storia suggestiva da raccontare, così come la reticenza cinese a diffondere informazioni, le tre ricercatrici precarie che hanno isolato il virus, i complotti.
Il ministro della Salute Roberto Speranza si è affidato alla scienza costituendo un gruppo di esperti. L’Italia, fino a giugno, ha seguito le limitazioni del lockdown in maniera disciplinata.
Infettivologi, virologi, epidemiologi, immunologi hanno parlato con competenza in una normale dialettica scientifica tra scienziati che discutevano su un fatto ancora non noto.
Alla fine dell’estate la curva dei contagi è tornata a risalire, è scoppiato anche il dibattito politico (ad esempio sulla scuola) e si sono diffuse rassicurazioni e allarmi a giorni alterni da politici e scienziati.
Bianucci ha ricordato gli scienziati più noti, dai mattatori Burioni, Zangrillo, Galli e Bassetti, a coloro che hanno tenuto un profilo medio, Capua, Viola, Brusaferro e Pregliasco, o basso, Ippolito e Rezza, fino a chi si è tenuto fuori dalla mischia, come Mantovani, Remuzzi e Vespignani.
Democrazia e scienza hanno valori comuni: pluralismo, consenso, oggettività, tolleranza, rispetto dei fatti, imparzialità, apertura alla critica e al dubbio e soluzione di problemi.
Bianucci ha tracciato un parallelo tra il consenso democratico, che può essere diretto o mediato da una rappresentanza eletta, e il consenso scientifico che si forma con il procedere della ricerca. Anch’esso è mediato prima tra scienziati e poi dall’informazione: i risultati non rappresentano la “Verità” ma la verificabilità.
Una democrazia diretta è inconciliabile con la complessità della scienza moderna, anche perché la cultura scientifica in Italia è scarsa. Una democrazia rappresentativa è tanto migliore quanto più i cittadini sono scientificamente ben informati.
Bianucci ha anche ricordato il ruolo dell’esperto nella democrazia diretta e in quella rappresentativa: secondo l’articolo 21 della Costituzione c’è libertà di espressione ma il giornalista ha una responsabilità in più perché ha a disposizione un mezzo potente come la televisione o un giornale. Il dovere di informare è dei giornalisti. Il ruolo dell’esperto è sempre mediato dal giornalista. Se la democrazia è debole, si indebolisce anche il ruolo dell’esperto.
La debolezza di entrambe le cose aumenta in proporzione al numero degli analfabeti funzionali. Il risultato è una insicurezza generalizzata dell’opinione pubblica che alimenta pseudoscienza, negazionismo, complottismo. Bianucci ha sottolineato la responsabilità dei mediatori della conoscenza come i giornalisti scientifici.
“La scienza è l’unica arma vera che abbiamo in questa battaglia” ha concluso il giornalista.