Il neorealismo e il cinema di impegno civile: doppio incontro per la serata di apertura del Festival Adelio Ferrero, il più importante festival italiano dedicato al cinema e alla critica, giunto alla settima edizione, ospitata come di consueto dall’Associazione Cultura e Sviluppo.

Nella prima parte Dario Edoardo Viganò, professore ordinario di Cinema presso l’Università Internazionale Uninettuno, docente del Master in Media and Entertainmentalla Luiss Business School, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali della Santa Sede, ha presentato il suo libro Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità.

Un’intervista a papa Francesco sul cinema: “Nella tradizione, la chiesa interveniva soprattutto per la censura, per la questione morale e per l’utilizzo ai fini pastorali – ha detto monsignor Viganò – Papa Francesco pensa al cinema come un corpus di testi”.

Il neorealismo è stato tradizionalmente un fenomeno straordinario dal punto di vista realizzativo. Il secondo dopoguerra era un periodo di grande insicurezza ma si guardava al futuro con molta speranza. “Era un cinema che usciva in strada e aveva uno sguardo diverso su una realtà di frustrazione e abbandono. Era uno sguardo non solo per vedere ma guardare” ha spiegato l’autore, che ha poi raccontato la realizzazione del film di Wim Wenders Papa Francesco. Un uomo di parola.

“Il papa è stato protagonista, non attore e racconta i suoi pensieri su vita, morta, amore per Dio. Penso che amerebbe molto i film di Ken Loach e dei fratelli Dardenne in quanto raccontano di persone vere, tradimenti, lavoro perduto e attraversano le vicende dell’umano” ha detto ancora Viganò.

“È bello vedere un film se ci emoziona, se ci sentiamo parte di un personaggio. L’esperienza di andare al cinema è di provare emozione” ha concluso il relatore.

Dopo la proiezione del film Il delitto Mattarella, dedicato alla figura di Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia mentre era presidente della Regione siciliana, sono intervenuti il regista e sceneggiatore Aurelio Grimaldi e l’autore delle musiche Marco Werba.

Grimaldi ha parlato della sua esperienza di scrittore e sceneggiatore, iniziata con Mery per sempre e Ragazzi fuori, e dei suoi film da La discesa di Aclà a Floristella a Le buttane e Nerolio. Con Werba ha dialogato sul ruolo della musica nel cinema.

“Aurelio è un regista che sa dosare gli interventi musicali nei film e non ha paura del silenzio. La musica va dosata perché se è troppa rovina l’effetto a sorpresa quando arriva quella importante – ha spiegato il compositore.- effetti sonori e musica devono convivere, non disturbarsi e diventare un’unica identità”.

Grimaldi ha parlato anche della differenza tra documentario e film: “L’approccio cambia. Nel documentario l’autore può fare domande, riprende cose autentiche e non si deve sentire il ciak, sono i fatti che parlano. Nel film ci sono invece la sceneggiatura e il montaggio”.

In conclusione Marco Werba è intervenuto sul ruolo della musica nei film di genere e in quelli di impegno civile. Nei primi “la musica svolge un ruolo più importante rispetto a quelli che propongono la realtà. Presentano infatti cose che non capitano nella vita, ad esempio l’arrivo degli alieni. In questo caso la musica rende verosimili le situazioni, pensate al volo di Superman o allo squalo che si avvicina la vittima nel film di Spielberg.. Nel neorealismo c’è invece pochissima musica. Il ruolo è più importante nella finzione assoluta, come nei thriller, negli horror e nella fantascienza. Esiste anche la musica per contrasto: ad esempio in Profondo rosso, la cantilena natalizia riporta alla mente dell’assassina un trauma infantile, in Arancia meccanica c’è I’m singing in the rain, in Un lupo mannaro americano a Londra c’è una canzone rock”.

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